I certificates, ovvero i derivati cartolarizzati di nuova generazione, grazie alle opportunità che offrono, in termini di accesso ad una vasta gamma di sottostanti, promettono di suscitare sempre più l’interesse dei risparmiatori. Introduciamone le caratteristiche e la classificazione
I certificates sono strumenti finanziari derivati cartolarizzati, diversi dai covered warrant, negoziati sul SeDeX (mercato telematico dei Securities Derivatives), mercato gestito da Borsa Italiana Spa. Si tratta di prodotti che replicano, con o senza effetto leva, l’andamento dell’attività sottostante, la quale, secondo il Regolamento di Borsa, può essere costituita da una grande e variegata gamma di strumenti finanziari che comprende (salvo diverse disposizioni)
-azioni di emittenti diversi dall’emittente i certificates, negoziate su un mercato regolamentato italiano o estero e con un buon livello di negoziabilità;
-merci (commodities) aventi un mercato di riferimento liquido e trasparente;
-obbligazioni e titoli di Stato liquidi e negoziati su un mercato regolamentato;
-valute;
-indici o panieri relativi alle attività descritte in precedenza;
-contratti derivati negoziati su mercati liquidi e riferiti alle attività di cui ai punti precedenti.
La natura di derivato cartolarizzato distingue questi prodotti dai comuni derivati (opzioni, future), in quanto i certificates non sono contratti fra due controparti regolati presso la Cassa di Compensazione e Garanzia, ma titoli che incorporano le relative caratteristiche contrattuali, soggetti al rischio di insolvenza dell’emittente che è normalmente una banca italiana o estera ad elevato rating e con particolari requisiti patrimoniali e di vigilanza prudenziale. Sono titoli sui quali gli investitori non possono assumere posizioni ribassiste vendendo lo strumento per poi, successivamente, comperarlo a prezzi (si spera) più bassi per chiudere la posizione in guadagno (in pratica potete venderlo solo se già lo possedete!).
Negli ultimi anni i certificates hanno avuto una crescita esponenziale sia in termini di volumi di negoziazione giornalieri che, soprattutto, in termini di strumenti negoziabili sulla piazza italiana. Sottostanti sempre più diversificati che consentono di avvicinarsi a mercati difficilmente accessibili diversamente (anche con gli ETF), facilità d’uso, bassi costi (nessuna commissione di performance e, quasi sempre, di gestione) e, per alcuni tipi, immediatezza nel comprenderne le caratteristiche, sembrano i fattori di successo di questi strumenti. Anche la negoziazione in borsa è estremamente semplice in quanto si avvicina alle comunissime azioni: dalle 9.05 alle 17.25 in continua, senza aste né di apertura né di chiusura, e dalle 18.00 alle 20.30 per la sessione After Hours, ma solo per alcuni certificates.
Attraverso le attività del market-making, l’emittente fornisce poi continuamente (salvo brevi “vuoti” temporali) un prezzo in acquisto e uno in vendita consentendo al risparmiatore di liquidare l’investimento (o di accedervi) in modo semplice e con uno spread (differenza fra denaro e lettera) contenuto. Anche il trattamento fiscale è equiparato alle comuni azioni; pur non essendoci nessuna presa di posizione ufficiale da parte degli organi competenti, l’interpretazione della norma è quasi unanime e viene prelevato dal vostro intermediario un 12,50% sul capital gain ovvero sulla differenza positiva fra prezzo di vendita e prezzo di acquisto.
Dal punto di vista della classificazione, i certificates si dividono, come visto in un precedente articolo, in due grandi segmenti quali Leverage Certificates (dotati di effetto leva) e Investment Certificates. I primi comprendono al loro interno i Turbo e Short, (chiamati anche Bull e Bear) oltre ai Mini Long e Mini Short. Gli Investment Certificates invece sono divisi in due sottocategorie quali “certificates che replicano l’andamento dell’attività sottostante non incorporando alcun effetto leva” (Benchmark e Quanto) e “certificates che replicano l’attività sottostante incorporano una o più opzioni con carattere accessorio” (Discount Certificates, Bonus Certificates, Capitale Protetto, Strutturati).
Queste sono le suddivisioni tradizionali. E’ necessario però tenere presente fin d’ora che le varie banche emittenti molto spesso chiamano le stesso strumento (pur con piccole diversità intrinseche) in modi diversi. Un classico esempio è quello dei “Capitale Protetto” che a seconda dell’emittente viene denominato Equity Protection oppure Scudo piuttosto che Capital Protected o Borsa Protetta.