Le obbligazioni convertibili sono una particolare tipologia di titolo obbligazionario, previste direttamente dal codice, che per le loro caratteristiche sono generalmente considerate uno strumento di capitale e, infatti, sono quotate sugli stessi mercati di Borsa dei titoli azionari
Particolare forma di strumento finanziario, non molto diffusa sul mercato italiano, le obbligazioni convertibili possono essere considerate a tutti gli effetti obbligazioni strutturate essendo composte da una obbligazione con cedola, che può essere fissa o variabile, e un’opzione di acquisto (call), a favore dell’investitore, dell’azione della stessa società emittente (procedimento diretto) o di una terza società (procedimento indiretto). Il possessore del titolo ha quindi la possibilità di convertire le obbligazioni, mediante la loro restituzione, in azioni, trasformando l’investimento obbligazionario in investimento azionario, oppure di mantenere l’obbligazione in portafoglio in funzione delle condizioni di mercato.
L’emissione di obbligazioni convertibili in azioni è deliberata dall’assemblea straordinaria, la quale deve determinare anche il rapporto di cambio (numero di azioni per obbligazione posseduta) e il periodo (arco temporale entro il quale la conversione può essere effettuata) e le modalità della conversione. Tali caratteristiche devono essere riportate anche sul titolo obbligazionario, in aggiunta agli elementi costitutivi previsti per tutte le obbligazioni.
La deliberazione non può essere adottata se il capitale sociale non sia stato interamente versato.
Contestualmente la società deve deliberare l’aumento del capitale sociale per un ammontare corrispondente alle azioni da attribuire in conversione: la conversione delle obbligazioni convertibili implica un aumento di capitale sociale, pertanto, le obbligazioni devono essere offerte in prelazione agli azionisti della società le cui azioni sono oggetto di conversione, proporzionalmente alla quota posseduta. Qualora l’azionista non intendesse sottoscriverle egli può cedere il diritto di prelazione a terzi dietro un corrispettivo in denaro.
Il prezzo di emissione delle obbligazioni convertibili non può essere inferiore al valore nominale, ossia il valore di rimborso a scadenza dell’obbligazione se non si procede a conversione, pertanto non possono essere emesse per un valore sotto la pari.
Nei casi di aumento del capitale mediante imputazione di riserve e di riduzione del capitale per perdite, il rapporto di cambio è modificato in proporzione alla misura dell’aumento o della riduzione.
Nel primo mese di ciascun semestre gli amministratori provvedono all’emissione delle azioni spettanti agli obbligazionisti che hanno chiesto la conversione nel semestre precedente. Entro il mese successivo gli amministratori devono depositare per l’iscrizione nel registro delle imprese un’attestazione dell’aumento del capitale sociale in misura corrispondente al valore nominale delle azioni emesse. Fino a quando l’iscrizione nel registro non sia avvenuta, l’aumento di capitale non può essere menzionato negli atti della società.
La società, inoltre, non può deliberare né la riduzione volontaria del capitale sociale, né la modificazione delle disposizioni dello statuto concernenti la ripartizione degli utili fino a quando non siano scaduti i termini fissati per la conversione, salvo il caso che ai possessori di obbligazioni convertibili sia stata data la facoltà, mediante avviso depositato presso l’ufficio del registro delle imprese almeno novanta giorni prima della convocazione dell’assemblea, di esercitare il diritto di conversione nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione.
Lo statuto può attribuire agli amministratori la facoltà di emettere in una o più volte obbligazioni convertibili, fino ad un ammontare determinato e per il periodo massimo di cinque anni dalla data di iscrizione della società nel registro delle imprese. In tal caso la delega comprende anche quella relativa al corrispondente aumento del capitale sociale. Tale facoltà può essere attribuita anche mediante modificazione dello statuto, per il periodo massimo di cinque anni dalla data della deliberazione.